Di seguito una attenta analisi relativa ai 10.000 esuberi dichiarati ultimamente dal vertice di UNICREDIT, ma anche Banca INTESA, BNL, MONTE PASCHI DI SIENA, UBI, POPOLARE DI BARI, ecc.
La Redazione
Gira voce che a breve il nuovo piano industriale del gruppo Unicredit dichiarerà 10.000 esuberi, la gran parte tra i lavoratori del Gruppo in Italia. 10.000 persone perderanno il posto di lavoro. Le uscite, grazie agli accordi sindacali, saranno coperte dal Fondo di Solidarietà di settore che accompagna alla pensione le persone a cui mancano massimo 60 mesi per la maturazione del diritto alla erogazione della pensione, sia essa pensione anticipata o di vecchiaia. Il piano industriale di Unicredit non è il primo che assume una simile decisione. Già nel passato lo stesso Gruppo aveva esodato, o tagliato, migliaia di posti di lavoro in Italia e all’estero. Anche Banca Intesa ha realizzato un piano di riorganizzazione con oltre 8.000 esuberi dopo l’operazione di acquisizione delle banche venete, a causa delle note vicende, al prezzo di 1 euro. In quel caso è stata applicata una circolare INPS che ha consentito l’estensione del Fondo da 5 a 7 anni. Il Monte dei Paschi sta realizzando un piano industriale, concordato con l’UE e la BCE, in cui sono previsti circa 8.000 esuberi. Anche la BNL-Paribas, il gruppo UBI, la Banca Popolare di Bari e altre aziende hanno utilizzato il Fondo di Solidarietà dichiarando esuberi di varie dimensioni. Il settore del credito sta vivendo una fase molto dolorosa di riorganizzazione che prevede tagli, esuberi di personale, chiusure di centinaia e centinaia di sportelli, una revisione radicale del concetto di servizio pubblico del settore bancario. Ormai in tutte le città è visibile l’abbandono da parte delle banche di tutti i quartieri periferici e semi-periferici perché la popolazione della media e bassa borghesia, il proletariato, i pensionati, il mondo dei precari, non sono più considerati interessanti come clientela e quindi sono abbandonati al mercato delle finanziarie e delle piccole compagnie di assicurazione. Al mondo delle banche interessano solo le imprese e le famiglie con una buona, ottima, base di risparmio. In sintesi alle banche interessano solo gli affari che comportano provvigioni e utili a breve termine. Di quello che accade al futuro delle famiglie e delle piccole imprese non interessa granché. Questa non è una congettura ma un semplice dato di fatto. In Italia ormai gli sportelli bancari, ma anche quelli ATM (i bancomat), sono presenti solo nel centro delle città. Intere comunità di piccoli e medi paesi sono totalmente abbandonati, spesso anche dalle Poste Italiane. Il servizio bancario non è più ritenuta una attività di pubblica attività. Come Fisac/CGIL ci preme, però, riflettere su alcuni elementi. Il primo: il CEO dell’Unicredit ha dichiarato che gli esuberi sono una conseguenza dello sviluppo tecnologico delle banche, la diffusione dei conti on line e l’automazione delle classiche attività bancarie. Molti CEO dichiarano che anche la chiusura degli sportelli è conseguenza dell’innovazione tecnologica. Bene, prendiamo atto. Ma siamo sicuri che sia effettivamente così? Da lavoratori del settore, e anche da clienti, si sperimenta ogni giorno la totale inadeguatezza tecnologica delle banche italiane e di come questo argomento sia solo una scusa per nascondere il vero obiettivo: un taglio selvaggio dei costi operativi per ottenere a brevissimo termine utili molto alti da distribuire agli azionisti. Ed è quello che sta succedendo nei grandi e medi gruppi italiani. Mentre altre aziende, per errori manageriali che perseguivano però lo stesso obiettivo, stanno subendo una grave crisi di redditività che mette a rischio il loro futuro. La tecnologia, l’innovazione, l’intelligenza artificiale, l’automazione non hanno un ruolo così determinante nella programmazione del futuro della banche italiane. Negli sportelli bancari italiani ogni giorno ci si misura con sistemi operativi raffazzonati, lenti, con codice aggiunto su altro codice per tamponare le molte falle nei programmi e nelle interfacce utenti. Gli ATM, cosiddetti evoluti, sono macchine fragili con moltissimi errori software e vulnerabilità hardware. Sono macchine che si bloccano spesso e le loro chiusure contabili e il caricamento di banconote, indispensabili per farli funzionare, richiedono un gran dispendio di tempo e di risorse umane, cioé di colleghi che devono quotidianamente impiegare molto tempo per effettuare le loro macchinose chiusure. I call center, che si vocifera inizieranno ad essere sostituiti da robot, non riescono quasi mai ad offrire un servizio di adeguata qualità per il semplice motivo che ci lavorano poche persone rispetto alla richiesta di assistenza da parte dell’utenza. In realtà, come invece accade in molti paesi esteri all’avanguardia, l’innovazione tecnologica dovrebbe prevedere una radicale modifica del modello organizzativo, perché questo è conseguenza
dei tempi, delle modifiche intervenute nell’economia e nella società. Ma analizzando con attenzione la realtà queste modifiche dovrebbero prevedere, sostanzialmente, una modifica dell’offerta di lavoro. Servono meno sportelli, meno dipendenti addetti alla consulenza ma servono investimenti forti nella diffusione degli ATM sul territorio, nuove figure professionali di consulenti in mobilità e altamente professionalizzati, servono ingegneri e programmatori, tecnici che assistano quotidianamente la tecnologia utilizzata. Servono figure professionali che studino prodotti finanziari adeguati alle richieste dei vari territori e che vengano incontro alle nuova attività economiche che ormai sorgono ogni giorno. Serve, in sintesi, una nuova generazione di impiegati bancari, servono nuovi profili professionali che sostituiscano la vecchia figura dell’impiegato bancario seduto sempre dietro la stessa scrivania per quarant’anni. Oggi servirebbe davvero una innovazione tecnologica, una spinta verso un servizio più veloce ma più professionalizzato. Servono investimenti nella formazione, nell’ammodernamento dell’hardware, nell’utilizzo delle nuove tecnologie che liberino i lavoratori dalle attività ripetitive e manuali che occupano troppo tempo di una giornata lavorativa. Perché la modernità non è fatta dalle centinaia di mail ripetitive da parte del management bancario che servono solo a creare stress, non è riempire le bacheche di decine di circolari e normative scritte male, non è una serie infinita di procedure macchinose che producono centinaia di pagine per ogni tipologia di contratto da far fisicamente firmare a qualsiasi cliente. Anche il sindacato su questo aspetto deve riflettere perché la risposta a Jean Pierre Mustier, il CEO di Unicredit, non può essere “faremo a cazzotti” ma deve essere una strategia che metta al centro una reale e profonda alternativa che identifichi le nuove figure professionali, le competenze, gli inquadramenti, la formazione necessaria. Perché il rinnovamento è una scommessa che va progettata, identificata e poi normata. Il taglio semplice e puro del costo del lavoro sino ad ora ha solo prodotto disastri. E’ ORA DI FINIRLA