da Affari e Finanza di Repubblica
Mps e le pressioni per la bad bank ma il Tesoro vuole la privatizzazione
21 SETTEMBRE 2020. Una parte dei M5s chiede di trasformare l’istituto di Siena in un veicolo capace di smaltire i crediti deteriorati del sistema bancario italiano, ma la vigilanza resta fredda e il ministro Gualtieri porta avanti il progetto di cessione
DI ANDREA GRECO
Teoria degli insiemi. Ci sono tre elementi in due insiemi: “nuovi crediti deteriorati” e “dossier Mps” stanno in quello “Problemi”, mentre “bad bank” rientra in dell’insieme “Soluzioni”. L’intersezione tra i due insiemi è tutta da costruire, e difficilmente comprenderà ciascuno dei tre elementi. Malgrado un generico favore coltivato dai vertici della Banca d’Italia e della vigilanza europea attorno a schemi di società “specializzate nel gestire crediti deteriorati”, i tempi stretti, le costrizioni tecnico-finanziarie, la ritrosia del Tesoro – e della vigilanza stessa, in caso di bad bank finalizzate ad altri scopi come l’idea fa temere tra i banchieri centrali – si frappongono all’idea lanciata a inizio settembre da Carla Ruocco.
La presidente della Commissione d’inchiesta sulle banche aveva proposto sui media, e ora sta approfondendo con partiti e istituzioni, di sbrogliare la matassa senese usando la licenza bancaria e le strutture di Mps per farne una lavatrice nazionale dei crediti inevasi, che per oltre 100 miliardi pioveranno sull’Italia da febbraio, alla scadenza delle moratorie bancarie. La montagna di contenziosi in formazione è scontata. Secondo uno studio di Oliver Wyman, le banche europee supervisionate dall’Eba nei prossimi tre anni perderanno oltre 400 miliardi di euro sui loro crediti, 2,5 volte l’ultimo, mite triennio (e la somma può raddoppiare con un lockdown bis). La quota di contenzioso dell’Italia sarà più che proporzionale: si stimano tra 100 e 150 miliardi di euro di nuovi non performing exposure s (Npe), a partire dal rimborso imperfetto dei 300 miliardi di prestiti congelati fino al 31 gennaio 2021.
Gli analisti di Bank of America hanno di recente stimato tassi di default tra il 10 e il 20% della somma: l’ad di Banca Ifis Luciano Colombini ne prevede “tra il 5 e il 10%” delle moratorie. Per il manager che guida l’istituto leader nei crediti deteriorati “al consumo” delle famiglie, tale nicchia sarà “tra le più riparate, perché quasi metà dei debitori ha una pensione o redditi da lavoro dipendente, mentre sarà più pesante l’impatto sul credito alle imprese piccole e medie, e sulle sofferenze che hanno come sottostante immobili commerciali o industriali, i più colpiti dalla crisi”.La realpolitik dell’antitrustAnche Francesco Guarneri, che dal 1991 guida Guber Banca nel recupero dei crediti, stima un impatto ritardato, e maggiore per le aziende entrate nel lockdown in condizioni già fragili. “Il Covid promette di fare in economia quel che ha fatto in campo medico: colpire i soggetti deboli, le imprese con problemi pregressi. Più che le sofferenze, saranno le esposizioni in bonis e le inadempienze probabili la maggiore sfida per le banche: anche perché sono quelle che richiedono più attenzione, risorse e risposte pronte”.
Le società nazionali per gestire crediti ammalorati hanno funzionato piuttosto bene dal crac di Lehman (2008) in poi: hanno accorciato i tempi di smaltimento dei crediti bancari, usciti dai bilanci degli istituti che così hanno potuto dedicarsi al credito ordinario; e hanno dato più potere contrattuale ai venditori, in un mercato dove comandano i pochi fondi globali compratori (gli “avvoltoi della vulgata politica). Ma gli innegabili vantaggi, come noto apprezzati anche dal governatore Ignazio Visco e dal capo della vigilanza europea Andrea Enria si uniscono a un rischio molto avvertito nei Paesi più “nordici”. Il rischio, già espresso dal vicepresidente dell’Ue Valdis Dombrovskis e dalla presidente del fondo di risoluzione unico, Elke König, che una bad bank unica europea, comprando crediti a prezzi standard, crei distorsioni legate al fatto che i contenziosi nei vari Paesi sono ancora molto diversi per tempi di recupero, norme civili, condotte. Per questo è poco probabile che, malgrado la discontinuità posta dalla pandemia, maturi il consenso politico sufficiente a una bad bank europea: e neanche per fare il “regolamento armonizzato delle bad bank nazionali” chiesto dall’Abi. Più facile, invece, che i confronti tra le istituzioni sul tema si risolvano in un approccio “comprensivo” dell’Antitrust Ue, quando si trova a valutare i casi specifici e singoli prezzi di apporto dei crediti (film visti di recente).Le condizioni di UnicreditQuanto sopra pare letteratura sofistica in raffronto al sesto grado da scalare entro due mesi per la “riprivatizzazione Mps”. L’impegno del Tesoro con l’Ue nel 2017 era rivendere la banca entro la primavera 2022; ma il socio pubblico pare determinato a rompere gli indugi ora. L’innesco è la scissione di 8,1 miliardi di euro di crediti deteriorati a favore di Amco, al voto dell’assemblea Mps il 4 ottobre. L’operazione renderà il bilancio senese tra i più “lindi”, ma costa un miliardo di patrimonio: per questo la Bce ha chiesto un piano di ricapitalizzazione per approvarla. Sono noti i tre impegni a cui l’ok Bce è subordinato: ma il Tesoro sta lavorando per superarli tramite un’aggregazione che metta definitivamente in sicurezza non solo il patrimonio Mps, ma soprattutto la sua redditività (la banca stima conti in rosso fino al 2022). La gara aperta per nominare un secondo advisor, oltre a Mediobanca da mesi attiva, è un altro segnale. Intanto la moral suasion di via XX settembre è all’opera: a partire da Unicredit, che però avrebbe chiesto pesanti condizioni – paragonate dietro le quinte a quelle spuntate da Intesa Sanpaolo per prendersi le due ex popolari venete – e che paiono fuori discussione.
L’altro nome nell’agenda del Tesoro è Banco Bpm. Un’integrazione “funzionale”, con qualunque istituto disposto, potrebbe coglierebbe alcune indicazioni care a Ruocco e a una parte di M5s e Leu: vendere gli sportelli Mps nel Sud al nascente polo Mcc-Bari, o fondere in Amco la “scatola vuota” senese con licenza bancaria e marchio per farne una bad bank capace di emettere bond e cartolarizzare titoli. “Tre dossier importanti si intrecciano: Borsa spa, Mps e Popolare Bari – dice Ruocco – servono visione e regia comune: non si può pretendere che lo Stato ripiani con soldi pubblici i fallimenti delle gestioni, e forse dell’attività di vigilanza, senza al contempo pretendere che tali interventi abbiano una valenza nazionale”.
Intanto il tempo passa, Giuseppe Conte non firma il Dpcm sulla vendita di Mps (slittato a dopo le elezioni) e aumenta il rischio di incartamento, che spianerebbe la via a una ricapitalizzazione solo statale per i 700 milioni circa chiesti al Monte dalla Bce. Allontanando il tempo della “riprivatizzazione” e segnando due vantaggi per la politica. Primo, non far emergere i circa 7 miliardi di minusvalenze in caso di vendita ora. Secondo, continuare a gestire poli bancari in regioni chiave come Toscana e Puglia, al di là degli esiti delle urne.