I fatti.
Mustier, ad di Unicredit dal 2016, ha di recente confermato che non rinnoverà la propria carica alla scadenza quindi lascera’ Unicredit nell’Aprile 2021.
L’amministratore delegato alla guida del secondo gruppo bancario italiano sin dal 2016, era impegnato nel portare a termine un imponente piano di ristrutturazione della Banca (Piano Team 23), con logiche di mercato alquanto spietate: cessioni di rami d’ azienda, riduzione dei costi del personale con il taglio di 8000 ( ben OTTOMILA) posti di lavoro e la chiusura di 500 sportelli, riduzione dei crediti deteriorati, aumento del patrimonio. Il tutto al fine di aumentare il numero dei clienti, incrementare la produttività della banca con un ambizioso progetto di digitalizzazione e riuscire così a distribuire dividendi per 6 mld di euro agli azionisti e a mettere in atto un buyback per 2 mld di euro.
Il progetto non prevedeva fusioni con banche italiane, ma solo l’ acquisizione di piccole società che fornissero servizi complementari.
La notizie dell’ abbandono da parte di Mustier ha provocato un improvviso crollo del titolo in borsa e una situazione di crescente incertezza sui possibili scenari futuri della banca.
Ma perché Mustier ha deciso di abbandonare?
In questi giorni si moltiplicano le ipotesi sulle motivazioni che hanno indotto questa scelta.
Benché prontamente smentita dal futuro presidente della banca, Padoan, pare che tra Mustier ed il CDA della banca non ci sia più identità di vedute per quanto riguarda i programmi futuri.
Parrebbero essere state esercitate forti pressioni politiche affinché UniCredit porti a termine l’ acquisizione del MPS , da cui verrebbe, inevitabilmente, zavorrata.
Ad avvalorare questa ipotesi vi è, appunto, la nomina nel Cda di UniCredit proprio di Padoan che avrebbe giusto il compito di portare a termine la fusione.
La questione riporta prepotentemente alla ribalta l’antico dilemma sulla opportunità e i limiti dell’intervento statale nella gestione delle aziende, giacché lo Stato possiede attualmente il 68, 2 % del capitale sociale dell’istituto senese.
Auspicabile al fine di garantire un importante sostegno all’economia, di riequilibrare le naturali distorsioni insite in una economia di mercato pura, di agire da propulsore su una economia profondamente flagellata da fattori esogeni, quali la pandemia, l’ intervento statale è fondamentale.
La crisi politica, economica e sociale che stiamo vivendo ha tuttavia reso estremamente labile il confine tra il legittimo e indispensabile intervento statale e i limiti entro cui tale azione deve svolgersi. Perché agisca i suoi effetti propulsivi, infatti, deve essere “ super partes”, scevra di interessi personali e personalistici, subordinata all’ esclusivo perseguimento di interessi collettivi.
Nello specifico, come egregiamente sottolineato dall’ex Ministro del Tesoro Giovanni Tria, essendosi impegnato nel privatizzare il MPS, lo Stato dovrebbe favorire la fusione non facendo indebite pressioni su Unicredit, bensì ricordando che quest’ultima è una public company che deve comunque perseguire l’ interesse degli azionisti.
Questo potrà giustamente realizzarsi solo rendendo “appetibile” l’acquisto dell’istituto senese con provvedimenti e risorse adeguate.
Sarà, inoltre, indispensabile prevedere una adeguata gestione degli NPL, problema che si acuirà , inevitabilmente, nei prossimi mesi.
Fondamentale sarà, ancora una volta, l’intervento dei sindacati perché il tutto si svolga con estrema correttezza e trasparenza e, soprattutto, che le scelte degli attori in campo non abbiano riverberi negativi su chi, nel ruolo di lavoratore o di cliente, è costretto, suo malgrado, a subire le conseguenze delle decisioni prese.
Alessia Friggione
Dipartimento Comunicazione Fisac/CGIL Brindisi