In queste ultime settimane sono tanti gli avvoltoi che girano intorno a ciò che resta del terzo gruppo bancario italiano: il Monte dei Paschi di Siena. E ce ne sono anche all’interno di altre organizzazioni sindacali che hanno spudoratamente capovolto la loro linea politica, verosimilmente per ragioni strumentali. In questi giorni si legge di tutto sulla stampa specializzata e non. Filtrano indiscrezioni sul piano Unicredit, sulle scelte da parte dell’attuale proprietario di maggioranza del Monte, il MEF, da parte dell’UE. Ma da parte dei protagonisti di questa operazione di fusione, acquisizione, non si sa cosa, ossia il MEF, il Governo Draghi e Unicredit non c’è nessuna mossa che faccia pensare al coinvolgimento dei protagonisti veri: le lavoratrici, i lavoratori e le organizzazioni sindacali che li rappresentano. Infatti alla richiesta di incontro da parte delle federazioni nazionali e dei Coordinamenti RSA del MPS è seguito, ancora una volta, un silenzio indecente. La scelta di emarginare le persone e le organizzazioni che con enorme senso di responsabilità hanno lottato e lavorato per cercare di salvare la banca è molto grave, oltre che irrituale, irrispettosa e offensiva.
Personalmente lavoro nel Monte dal 1982, dopo aver partecipato ad un concorso pubblico la cui platea iniziale fu di circa 10.000 partecipanti per 400 posti in tutta Italia. Sono dirigente sindacale della Fisac dal 1986. Ho passato una vita di lavoro e di impegno sindacale in questa banca e in questa organizzazione. Sono sempre stato parte del corpo di entrambe e ne sono orgoglioso.
Oggi mi tocca leggere in un intervista ad un CEO sconosciuto di una SIM del gruppo Generali, che il vero problema dell’operazione del Monte non sono gli esuberi. Oggi si continua a parlare di 6.000 persone (e relative famiglie) su 21.000 dipendenti. Dalle mie parti una cosa del genere si chiamerebbe strage sociale, anche se parliamo di fare ricorso al fondo di solidarietà di categoria. Non contano per questo signore. Per lui il vero problema non è quello, ma che non è convinto che i dipendenti del Monte, abituati a concedere credito clientelare, si possano adattare a lavorare seriamente.
Questo è dileggiare migliaia di persone che hanno salvato la banca, e la clientela, dal dissesto. Inutile ricordare che questi fannulloni hanno perso quote rilevanti del loro salario per senso di appartenenza. Hanno dovuto lottare contro la cancellazione dell’impianto normativo di tutela dei dipendenti più avanzato nel sistema del credito. Questo impianto fu cancellato da tal Profumo, CEO scelto dalla politica, da Viola e dalla sig.ra Dalla Riva, oggi, ma che caso, chiamata a diventare responsabile del personale proprio di Unicredit. Queste sono tutte persone che pur essendo protagonisti di scelte fallimentari che non solo non hanno salvato la banca ma l’hanno ancor più affossata, e che continuano ad avere ruoli di grande responsabilità con relative retribuzioni da manager. Invece chi pagherà il prezzo salatissimo del disastro saranno proprio coloro che hanno messo la faccia e il corpo per difendere la parte sana di un’azienda in crisi.
La vicenda del Monte è purtroppo all’interno di un processo nazionale incentrato sull’attacco, virulento, al mondo del Lavoro. La cosa disarmante è che questo accada in una fase pandemica in cui le lavoratrici e i lavoratori di tutti i settori ritenuti prioritari, e il credito era tra questi, hanno messo in gioco le proprie competenze, la fatica, il corpo. Sì il corpo, perché hanno rischiato la vita per tenere aperti gli sportelli bancari, gli uffici postali, i supermercati, le farmacie, le industrie, i trasporti, il settore alimentare e così via. Lo hanno fatto per garantire i servizi e i prodotti essenziali e per salvare il futuro loro e delle aziende in cui lavoravano.
Oggi queste persone anziché essere ringraziate, tutelate, anche economicamente per la loro attività, sono invece considerate ancora una volta solo un elemento di costo da tagliare per remunerare, invece, gli azionisti. Queste lavoratrici e lavoratori oggi sono oggetto di una aggressiva campagna di licenziamenti, addirittura con messaggi Whatsapp e mail e SMS. Oppure sono comunque considerati degli “esuberi”.
Inoltre, per risparmiare, le aziende, le imprese, hanno ulteriormente tagliato le risorse destinate alla sicurezza di chi lavora ed è in atto una ulteriore drammatica di catena di incredibili morti sul lavoro. Si parla di giovani donne stritolate da macchine per il cui funzionamento non sono state formate, di giovani lavoratori che cadono da impalcature non a norma o avvelenati perché non dotati di strumenti di tutela individuale. Una strage continua contro la quale, a parte vuote parole, non si fa nulla.
Noi, come lavoratori del Monte, siamo all’interno di questa dinamica. Con questa realtà dobbiamo fare i conti e misurarci mettendo in campo la forza del sindacato confederale e le nostre capacità relazionali e politiche. Non è il momento di divisioni, di aperture alle controparti sul fumo che viene propinato. Non è il momento dei campanilismi. Da lavoratore che opera in Puglia sono preoccupato per il futuro del Monte in questa regione anche perché, al di là della storia personale, è una banca che tanto ha dato al territorio, alla società e all’economia pugliese. Ma non è pensando al proprio orticello che ci si salva. Lo si può fare solo restando uniti e combattendo tutti insieme.
In questo momento è fondamentale il ruolo delle RSA della Fisac/CGIL che hanno storicamente un radicamento nelle province, nelle filiali e la cui coerenza politica e qualità di azione sono riconosciute e apprezzate.
La nostra proposta è chiara: no a qualsiasi ipotesi di spezzatino, no alla scomparsa di un marchio glorioso e fondamentale nella storia del paese, no ad operazioni di mercato che svalorizzino la funzione della banca nell’economia e nella società. L’andamento nel 2021 della banca ha dimostrato che il Monte dei paschi di Siena è una banca che è tornata a produrre utili e che, nonostante le armi spuntate e l’assenza di una proprietà pubblica, la professionalità e la dignità delle donne e degli uomini che lavorano in questa banca ha consentito di raddrizzare una barca condannata da anni a colare a picco. E invece è ancora qui che galleggia.
Galileo Casone
Dipartimento Comunicazione Fisac/CGIL Brindisi