Nel settore creditizio italiano è in atto un ennesimo progetto di riorganizzazione sia patrimoniale che strutturale. Ormai da alcuni anni il principio che ne detta i processi è basato sul motto “grande è bello”. Molti istituti bancari di dimensioni importanti sono stati acquisiti da partner ancora più grandi sia a livello dimensionale che patrimoniale. E sono stati, di fatto, cancellati dal panorama territoriale. In queste ultime settimane il sindacato è impegnato in due processi molto importanti: l’esternalizzazione di un ramo d’azienda della BNL che comporterebbe una fuoriuscita dal perimetro creditizio di circa 1.000 lavoratrici e lavoratori e la nota vicenda dell’acquisizione del MPS da parte di Unicredit. La prima questione è come al solito fondata su una violazione della legge poiché l’esternalizzazione di un ramo d’azienda prevede come base la sua effettiva autonomia finanziaria e organizzativa. (1) Cosa che nella BNL è molto lontana dal vero. Per cui si tratta di una ennesima operazione illegale il cui obiettivo è la forte contrazione del costo del lavoro a danno dei diritti e del salario dei dipendenti. La vicenda del Monte ormai è nota: Unicredit si era resa interessata ad acquisire un perimetro definito di attività della banca con il solo obiettivo di ottenere un incremento di valore da distribuire agli azionisti come maggior dividendo.
Quello che invece interessa noi, sindacato, è andare a ficcare il naso in queste operazioni per tutelare le colleghe e i colleghi interessati.
Quale sarebbe l’impatto sociale di queste operazioni, quali sarebbero le ricadute sui dipendenti, sui territori, sulle comunità colpite direttamente o indirettamente da queste acquisizioni con tutto ciò che esse comportano?
Siamo sicuri che il motto “grande è bello” sia giusto e che questo sia l’obiettivo che il management bancario deve perseguire in questo contesto economico e sociale? Ci troviamo nel pieno di una nuova era storica definibile come “pandemica” e bisogna chiedersi quale sia il ruolo sociale del credito in questo momento.
Circa un anno fa, nel momento in cui l’Unione Europea aveva finalmente deciso di abbandonare la linea del rigore e sposare una linea di espansione con un diverso utilizzo delle risorse finanziarie comunitarie, noi avevamo seguito con speranza e attenzione le linee guida di questa nuova politica: la tutela dell’ambiente e la riconversione ecologica della produzione, una spinta verso la tecnologia e l’innovazione, il potenziamento del Welfare sociale con una particolare attenzione al finanziamento della sanità pubblica e della scuola pubblica, il finanziamento della ricerca.
Queste dovevano essere le linee guida che in Italia avrebbero dovuto ispirare l’ormai mitico PNRR, il Piano nazionale di Ripresa e Resilienza. In questo Piano il ruolo sociale delle banche e delle politiche creditizie avrebbero dovuto avere un ruolo centrale per mettere a disposizione le competenze creditizie al fine di spingere con forza lo sviluppo economico e sociale del paese.
Invece ci ritroviamo ancora una volta a dover fronteggiare uno spirito da pirati di un management bancario che intende approfittare della situazione per procedere ad una fortissima razionalizzazione della rete sportellare in Italia e ad un espulsione di migliaia di lavoratrice e lavoratori del credito dal processo produttivo.
Le conseguenze di queste politiche sono un forte aumento degli utili delle banche, cosa che sta già venendo da alcuni anni nonostante la crisi, l’emarginazione di intere comunità dal poter usufruire dei servizi delle filiali spingendo ad una migrazione verso la rete di Poste Italiane e infine un probabile cartello che imponga alla società e all’economia costi molto alti per accedere ai servizi creditizi.
Noi siamo contrari ad uno scenario di questo tipo. Ha fatto bene il MEF a rifiutare le proposte di Unicredit e ci attendiamo una sponda politica e sociale ad un nuovo Piano industriale del Monte che lo spinga definitivamente fuori dalle secche della crisi e che sia un piano di sviluppo del personale. Ci attendiamo che l’operazione in BNL sia bloccata poiché, come detto sin dall’inizio, è un’operazione spudoratamente illegale.
Il sindacato c’è e svolgerà fino in fondo il suo ruolo.
Dipartimento Comunicazione Fisac/CGIL Brindisi
Nota: (1) La nozione di ramo di azienda ai fini dell’applicazione dell’art. 2112 c.c. deve ricavarsi dalla giurisprudenza europea, dalla Direttiva n. 2001/23/CE e dalle altre norme europee in materia in base alle quali sono da considerare quali imprescindibili elementi di individuazione del ramo la preesistenza di una entità stabile organizzata in grado di fornire un servizio economicamente utile a qualcuno senza rilevanti apporti esterni e il trasferimento di anche solo una parte di tale entità, che però ne rappresenti l’essenza in termini di utilità funzionale ed economica. (Trib. Roma 5/3/2018, Est. Conte, in Riv. it. dir. lav. 2018, con nota di G. Gianni, “Le norme e la giurisprudenza europee non giustificano una interpretazione restrittiva della nozione di ramo d’azienda”, 658)