Pubblichiamo l’intervento della Segretaria Generale della Fisac/CGIL provinciale di Brindisi all’evento organizzato dalla Camera del Lavoro di Brindisi.
Questa è la testimonianza diretta di un dipendente del mps
Qualche anno fa in mps, è stato richiesto di compilare un questionario circa il ruolo della donna in banca. Premetto che il questionario è stato presentato come volontario e anonimo e poteva essere compilato a partire da una certa data ed entro una data limite, ma l’azienda già dal secondo giorno utile ha insistito molto nella compilazione con e-mail di sollecito con tanti cordiali saluti all’anonimato e alla volontarietà.
io avendo apprezzato l’iniziativa, mi ci sono dedicato sin dal primo giorno anche se mi sono reso conto che le domande erano ridondanti, mal poste ed alcune probabilmente poste alle persone sbagliate. Veniva richiesto per esempio se nella rete commerciale, nel middle management e nel top management ci fosse un numero sufficiente di donne. E io che ne so quante donne ci sono? E quale dovrebbe essere un numero sufficiente? La mia personale opinione è “mai abbastanza”. Ma perché’ chiederlo? Assumete, promuovete, valorizzate invece!
bollai il questionario come l’ennesimo spreco di denaro della banca nonché’ il classico intervento per salvare le apparenze in un periodo in cui tornò in auge il tema, che mai avrebbe dovuto essere trascurato, della violenza sulle donne, dalla violenza domestica al femminicidio, problemi che non si risolvono certo con un questionario.
Apprezzai invece un successivo corso di formazione on line sulle molestie, utile almeno a spiegare il problema con esempi concreti.
Ma da allora cosa è cambiato? Poco o nulla. Infatti, è di questi giorni la notizia dell’economy summit tenutosi a Pescara in cui grandi economisti si sono confrontati e hanno discusso di economia. La notizia non è questa ma il fatto che su 31 relatori era presente una sola donna. Un genio? Siamo noi donne a non capire di economia o se si deve discutere su argomenti importanti noi donne non siamo in grado di reggere il confronto con l’uomo? O siamo scomode? Perché’ anche questo si può pensare!!!!
Anche il mondo della finanza purtroppo non è avulso a certi comportamenti. Se è vero che il numero delle presenze femminili tra i dipendenti degli istituti di credito è aumentato sino ad arrivare addirittura al 51%, è pur vero che queste, per la maggior parte, ricoprono ruoli di risorse umane, di segretariato o di gestione amministrativa; se invece la lavoratrice è a contatto col pubblico, con la clientela, la sua gestione non andrà oltre un certo limite, infatti più il cliente sarà importante, più sarà un impiegato piuttosto che una impiegata a relazionarsi.
È ancora molto raro trovare donne nelle posizioni apicali; solo la bnl ha una amministratrice delegata, Elena Goitini, mentre come presidente del Mps c’è Patrizia Grieco; un numero veramente esiguo se si considera che in Italia ci sono 50 banche. La situazione non cambia se guardiamo i consigli di amministrazione dove la composizione femminile è meno di un terzo di quella maschile. Per questo la banca d’Italia ha imposto le quote di genere nei consigli di amministrazione da portare al 33% entro il 2024 per le grosse banche, mentre per i piccoli istituti questo dovrà avvenire entro il 2027. Non sono previste sanzioni per cui sarà molto semplice disattendere la norma.
Ma veramente abbiamo bisogno delle quote rosa per dimostrare la nostra preparazione? Per affermare la nostra professionalità? Perché’ non portare la proporzione al 50%? E non solo… perché’ non sanzionare seriamente chi disattende questa sacrosanta norma antidiscriminatoria?
Troppo spesso c’è incompatibilità tra carriera e famiglia. Ancora oggi subiamo il ricatto dell’azienda che ci impone di rientrare subito dopo la maternità pena il cambio di mansioni o peggio un cambio di sede mettendo in maggiore difficoltà la lavoratrice madre e senza considerare che questo elemento contribuisce a penalizzare e ritardare il percorso di carriera.
Ampio è ancora il divario sui congedi parentali che malgrado l’introduzione del congedo obbligatorio per i padri continuano ad essere utilizzati soprattutto dalle madri. Ma qui c’è da fare un distinguo in quanto se nel settore pubblico è più facile trovare un padre disposto a richiedere il congedo parentale, questo non avviene nel settore privato in quanto il padre lavoratore che lo richiede è visto come un soggetto fragile su cui non si può fare affidamento. Nel privato se ci sei produci e sei valutato per questo.
Questo è un retaggio culturale di stampo patriarcale. La stessa dinamica accade quando si fa richiesta di part time ancora largamente sfruttato dalle lavoratrici. Di conseguenza anche per i premi economici e le promozioni il personale maschile è maggiormente favorito, contribuendo così ad aumentare il divario salariale che ancora insiste tra l’uomo e la donna.
Siamo di fronte a due grossi problemi: la politica e la cultura.
La politica è troppo assente forse perché’ predominio di un solo genere che non intende molto cambiare le cose per non perdere posizioni di potere e privilegio; molto probabilmente è per questo che in Italia non si investe sufficientemente in infrastrutture quali asili nido, scuole a tempo pieno, nell’assistenza agli anziani e ai disabili. In questi casi la donna, in assenza di servizi, è spesso costretta a compiere vere e proprie acrobazie per conciliare il lavoro e la cura familiare o addirittura costretta a lasciare il lavoro.
Per quello che riguarda la cultura invece in quanto donne abbiamo anche una grossa responsabilità, quella di effettuare un cambio di passo per abbattere lo stereotipo culturale che parte dalla famiglia e sin dalla prima infanzia educando i figli e le figlie in maniera egualitaria. Dove la famiglia è carente è lì che deve intervenire la scuola partendo dai libri scolastici. Ancora oggi troviamo che la mamma stira e il papà lavora, la mamma cucina mentre il papà legge il giornale. Sembra banale ma non lo è… è il cambio di passo, il cambio di cultura che tanto vogliamo.
Come sindacalista è molto complicato confrontarsi su questo tema perché’ sono troppi i pregiudizi e le barriere da abbattere, in particolare se il confronto nasce tra donne. È stato più facile relazionarmi in maniera costruttiva col collega piuttosto che con la collega a mio avviso sempre per una questione di retaggio culturale. Sembra andare in contraddizione con quanto detto prima, ma sui diritti delle donne, forse perché’ quelli maschili sono acquisiti da millenni e mai messi in discussione, si erge un alone di omertà. I nostri diritti sono considerati meno importanti di fronte alle esigenze dell’azienda.
La storia dell’uomo ha più di 6.000 anni, la storia della donna deve ancora cominciare.
Rosa Maffei
Segretaria Generale Fisac/CGIL Comprensorio di Brindisi